A più di 10 anni dall’omicidio di Sarah Scazzi, si torna a parlare della cugina Sabrina Misseri e della zia Cosima Serrano.

I precedenti delle due

Ormai nel lontano 2010, avveniva uno degli omicidi che ha avuto maggior risonanza mediatica degli ultimi anni: l’omicidio di Sarah Scazzi.
Esattamente ad un anno dall’uccisione, dopo vari servizi al tg, inchieste e indagini approfondite, madre e figlia (Cosima Serrano e Sabrina Misseri) vengono condannate all’ergastolo.
Le due, tolsero la vita alla povera ragazza, strangolandola con una corda e facendo poi sparire il cadavere (con l’aiuto di Misseri).
A nulla servì la falsa testimonianza di Michele Misseri, ovvero il padre di Sabrina e marito di Cosima che cercava in tutti i modi di coprire le vere colpevoli del Delitto di Avetrana. Anche Misseri però fu condannato: anche se non fu lui ad uccidere Sarah, è stato proprio lui (che era lo zio della vittima) a sopprimere il cadavere e ad occultare le prove. Gettò il corpo di Sarah, già privo di vita, in fondo al pozzo.
Al contrario della moglie e della figlia, a lui sono stati dati “solamente” 8 anni di reclusione. Solamente nel febbraio del 2017 la Corte Suprema di Cassazione si pronunciò sulla condanna.
La cosa più atroce di questo famosissimo delitto, è il fatto che è stato commesso dalla cugina e dalla zia della vittima. Non solo, al tempo la vittima aveva solamente 15 anni, un’adolescente con tutta la vita davanti.

La nuova vita e il nuovo lavoro

Nelle carceri vere, non quelle dei film, anche i detenuti possono lavorare. Il diritto al lavoro è concesso a tutti, liberi e non.
Nel carcere di Taranto, da quando sono state rinchiuse, Sabrina e Cosima si sono da sempre dedicate alla fabbricazione di tovaglie, corredi e abiti.
La svolta per loro però arriva con la pandemia del 2020. Il loro business cambia e va incontro alle esigenze del paese.
Al posto di fabbricare tovaglie e vestiti, nel laboratorio che condividono ormai dal lontano 2011 (anno della loro reclusione) iniziano a produrre e distribuire presidi sanitari.
Insomma, un tentativo di rendersi utili per la società, magari per redimersi e iniziare anche a fare del bene al prossimo, nella speranza che il carcere le abbia cambiate davvero.
Non è mai troppo tardi per ritornare sui propri passi e comprendere gli errori commessi per non doverli più affrontare in futuro.
Futuro però, che dovranno comunque vivere in carcere data la pena a cui sono condannate.

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